martedì 6 luglio 2021

In piazza della Repubblica a Castelfranco Emilia per la quarta volta la celebre operetta di Johann Strauss Junior: "Il Pipistrello".

In piazza della Repubblica a Castelfranco Emilia per la quarta volta la celebre operetta di Johann Strauss Junior: "Il Pipistrello".



Giovedì 15 luglio alle ore 20 la Modesta Compagnia dell'Arte, in collaborazione con Sol Omnibus Lucet APS, metterà in scena per la quarta volta la celebre operetta di Johann Strauss Junior: "Il Pipistrello". Alla recitazione in lingua italiana si alternerà il canto in lingua originale tedesca.

 

Lo spettacolo, che avrà luogo in piazza della Repubblica a Castelfranco Emilia nell'ambito del Festival Estivo 2021, vedrà come protagonisti Maurizio Tonelli e Giada Maria Zanzi che vestiranno nuovamente i panni di, rispettivamente, Gabriel von Eisenstein e Adele. Al debutto nel ruolo della vera primadonna, Rosalinde, la riminese Caterina Tonini. La concertazione sarà affidata al Maestro Fabio Luppi. I costumi di Mirta Zagonara impreziosiranno la rappresentazione, le cui scenografie saranno curate da Luca Bianconcini.

 

Per ulteriori informazioni: modestacompagniadell.arte@gmail.com -http://www.modestacompagniadellarte.com

TEATRO SAN CARLO REGIONE LIRICA : mercoledì 7 luglio 2021 ore 20,15, Juraj Valčuha dirige Prokof’ev e Chačaturjan.

                                       


Juraj Valčuha
dirige Prokof’ev e Chačaturjan

mercoledì 7 luglio 2021 ore 20,15

 

Giunge al terzo appuntamento Regione Lirica, manifestazione del Teatro di San Carlo in Piazza del Plebiscito sostenuta dalla Regione Campania.

Dopo il successo di Carmen e del Balletto La bella addormentata / Il Lago dei cigni sarà la volta del concerto che vedrà protagonisti mercoledì 7 luglio 2021 alle ore 20,15 l’Orchestra e il Coro del Teatro di San Carlo.

Sul podio Juraj Valčuha che dirigerà la Suite n. 2 per orchestra, tratta dal balletto in tre atti Spartacus di Aram Chačaturjan e la cantata di Sergej Prokof'ev Alexander Nevskij Op. 78.

Mezzosoprano Ekaterina Semenchuck, Maestro del Coro Josè Luis Basso.

 

Guida all’ascolto tratta dal programma di sala

Voci dalla Russia nel Novecento:

Aram Chačaturjan e Sergej Prokof’ev

 

 

La libertà! La vera libertà, non quella a parole, non quella delle rivendicazioni, ma una libertà caduta dal cielo, superiore a ogni aspettativa. È una libertà ottenuta per caso, per un malinteso.

(B. Pasternak, Il dottor Živago)

 

Sergej Sergeevič Prokof’ev (1891-1953) e Aram Il’ič Chačaturjan (1903-1978), nati a poco più di dieci anni di distanza, hanno entrambi vissuto le turbolenze della prima metà del XX secolo, oscillando tra un sentimento di piena adesione al più puro spirito russo e alle sue più alte espressioni e la necessità di convivere, tragicamente, con un regime violento, antidemocratico e illiberale. I due compositori, oltre alle comuni radici culturali, hanno condiviso almeno tre episodi importanti.

1943. Il secondo conflitto mondiale è a un punto di svolta e Stalin, galvanizzato dal riuscito respingimento delle truppe tedesche da Stalingrado, sente prossima la vittoria. È convinto che l’Unione Sovietica, a guerra finita, sarebbe diventata una superpotenza mondiale e che, come tale, avrebbe dovuto dotarsi di un inno nazionale adeguato alle proprie ambizioni e al proprio ruolo futuro. Al concorso indetto per l’occasione giungono centinaia di proposte, tra le quali quelle di Šostakovič, Prokof’ev e Chačaturjan. Arriveranno in finale gli inni di Šostakovič e di Chačaturjan, che otterranno un dieci da Stalin, il quale però, pur riconoscendone l’originalità, li considererà inadeguati. Sarà invece scelto il lavoro di Aleksandr Aleksandrov.

Di lì a poco, Prokof’ev e Chačaturjan incroceranno nuovamente i propri destini, questa volta in una cornice meno rassicurante. Un piccolo passo indietro. Dalla metà degli anni Trenta, in molti si troveranno a dover mediare tra la propria libertà creativa, la professione di compositore e le direttive di Andrej Ždanov, protagonista indiscusso della politica culturale sovietica e sostenitore di una ferrea censura contro le opere “formaliste”, perciò stesso, considerate degenerate. Il culmine si tocca con la storica risoluzione del Comitato Centrale del PCUS del 10 febbraio 1948, con la quale vengono condannati diversi compositori, compresi Prokof’ev e Chačaturjan, «nella cui opera le perversioni formalistiche e le tendenze antidemocratiche sono particolarmente appariscenti».

Entrambi i compositori cercano di attutire il colpo o autoisolandosi, come nel caso di Prokof’ev, o ammettendo le proprie “colpe”, come nel caso di Chačaturjan. A prescindere dalle loro scelte, i due saranno tuttavia pienamente riabilitati nel 1958, con l’annullamento formale della famigerata risoluzione. A rafforzare questo processo di riscatto, arriva anche il conferimento, rispettivamente nel 1957 e nel 1959, di uno tra i più alti riconoscimenti dell’Unione Sovietica, il Premio Lenin, sia a Prokof’ev, per la Sinfonia n. 7, sia a Chačaturjan, per il balletto Spartacus.

 

Spartacus

La Suite n. 2 per orchestra, tratta dal balletto in tre atti Spartacus, fa parte di una serie di tre suite che il compositore russo scrive nel 1955 e alle quali se ne aggiungerà una quarta, pubblicata nel 1958. La seconda suite si articola in quattro brani che ripercorrono alcuni dei momenti più intensi dell’opera, intitolati Adagio di Spartaco e Frigia; Entrata dei mercanti - Danza di una cortigiana romana - Danza generale; Entrata di Spartaco - Lite - Tradimento di Armodio; Danza dei pirati.

Il balletto, concluso nel 1954, ha come protagonista lo schiavo trace Spartaco, personaggio simbolo nell’immaginario rivoluzionario di ogni tempo, considerato da Karl Marx una delle figure più eccezionali della storia antica, «un grande generale (non come Garibaldi), dal carattere nobile, vero rappresentante del proletariato antico». Potrebbe sembrare che l’obiettivo di Chačaturjan fosse quello di realizzare un’opera militante, con la quale esortare alla lotta sociale. Alcuni, invece, considerano a malapena riconoscibile l’eventuale allegoria della lotta del popolo contro la tirannia zarista. Ad ogni modo, sebbene le autorità considerassero questa lettura funzionale al proprio impianto ideologico, quasi certamente il compositore, che già aveva vissuto l’esperienza drammatica della censura, ha cercato di alludere velatamente a un’altra forma di oppressione: non quella zarista ma proprio quella dell’apparato politico sovietico sul popolo.

Il successo non arriverà in occasione della première a Leningrado del 1956 e, quando giungerà, sarà ascrivibile non tanto alla coreografia o alla storia narrata, quanto alla musica. Ritmi accentuati, venature post‑romantiche (che non di rado oscillano tra un raffinato lirismo e un certo sentimentalismo) ed echi dalla tradizione musicale popolare armena si combinano in una sorta di quadro vivente dalle tinte estremamente dinamiche e cariche di energia.

Tutto questo caratterizza anche le suite, compresa la seconda, che si apre con il celebre Adagio, il cui tema diventerà così famoso da essere utilizzato per la colonna sonora della serie tv BBC The Onedin Line, popolarissima tra il 1971 e il 1980. La suite è attraversata da momenti di grande trasporto ritmico, preparato dagli archi e affidato alle percussioni in dialogo con gli ottoni, che si muovono tra ostinato e sincopato. In questo dialogo, nel quale gli archi si inseriscono con brevi incisi dal carattere schiettamente russo, momenti di intensa energia si succedono a intimi e sensuali interventi del clarinetto e del violino di spalla. Fin dal secondo brano e per tutto il decorso musicale, emerge il “contrasto” come elemento specifico e strutturante, il quale compare a tutti i livelli (in modo meno evidente in quello armonico): strumentazione, motivi, ritmi. Tutto è giocato su un’efficacissima dialettica tra elementi opposti che, attraversando l’intera curva dinamica, alterna a una scansione ritmica travolgente momenti di lirica distensione e che confluisce nel galoppante e “piratesco” finale.

 

Aleksandr Nevskij

Un marcato carattere epico‑identitario è presente nella musica scritta da Prokof’ev per il film Aleksandr Nevskij di Ejzenštejn e dalla quale il compositore ha tratto la Cantata per mezzosoprano, coro e orchestra op. 78, su testi di Vladimir Lugovskij, eseguita per la prima volta il 17 maggio 1939 in occasione del XVIII congresso del Partito Comunista Sovietico.

Gli ultimi due decenni di vita e di attività di Prokof’ev, al cui interno ricade Aleksandr Nevskij e che coincidono con il ritorno in patria del compositore, restituiscono l’immagine di un autore teso verso un sincretismo linguistico e stilistico che, sempre più spesso, si combina con l’identità e la cultura propriamente russe. Certo, moltissimi lavori non avranno alcun rapporto diretto con il mondo russo, come ad esempio Romeo e Giulietta e tutta la musica strumentale che scriverà fino al 1953. Tuttavia, emergerà con sempre maggiore evidenza il profondo legame che Prokof’ev ha custodito nei confronti dell’intero complesso immaginario della sua terra, fatto di slanci epici e di poeticità raffinata, di fulgidi impeti e di tragiche consapevolezze. In questo quadro, si inserisce la collaborazione con alcuni registi sovietici, frutto anche del suo spiccato interesse nei confronti del cinema.

Dall’inizio degli anni Trenta fino alla sua morte, Prokof’ev prende in considerazione una ventina di offerte per progetti cinematografici e alla fine ne accetta e completa otto, lavorando con sei registi diversi. Tra questi, figura il più importante cineasta sovietico, Sergej Ejzenštejn (1898-1948), che, con Aleksandr Nevskij (1938), realizza una grandiosa ricostruzione della vittoria conseguita dal principe Nevskij contro i Teutoni nel 1242. La musica scritta per il film, seppur con tagli e interventi sull’orchestrazione, diventerà poi la Cantata op. 78.

Dal punto di vista simbolico, c’è chi ha individuato un implicito riferimento alla Germania nazista e il fatto che il film sia stato ritirato poco dopo la firma del patto di non belligeranza con la Russia (23 agosto 1939) sta solo a indicare la volontà di non creare pericolosi e imbarazzanti malintesi. Più probabilmente, quindi, si tratta della volontà di celebrare uno dei momenti gloriosi della storia russa, in un quadro storico, questo sì, complesso e instabile. Dal punto di vista musicale, scrive Prokof’ev, la tentazione di utilizzare musica dell’epoca è stata grande. Tuttavia, quella musica sarebbe risultata troppo lontana ed emotivamente estranea allo spettatore del XX secolo, la cui immaginazione, quindi, non sarebbe stata adeguatamente stimolata.

La cantata è articolata in sette episodi che ripercorrono i momenti salienti della vicenda (La Russia sotto il giogo dei Mongoli, Canto su Aleksandr Nevskij, I crociati a Pskov, Insorgi, popolo russo!, La battaglia sul ghiaccio, Il campo della morte, Entrata di Aleksandr Nevskij a Pskov). Prokof’ev - che dimostra di aver interiorizzato e personalizzato la lezione di Borodin e le radici epiche di buona parte della cultura russa - con il primo brano crea un’atmosfera arcaica che pare preludere, senza enfasi alcuna e, anzi, con un’intonazione drammatica, a qualcosa di grandioso. Nel secondo episodio inizia a emergere il carattere epico dell’opera. Il coro, nel ricordo delle vittorie passate, che si mescola alla minaccia rivolta a chiunque intenda marciare contro la Russia, alterna un canto lento e dalla solida fierezza a momenti ritmicamente più incisivi. Nel terzo brano, l’arrivo dei crociati, realizzato combinando una litania, dal carattere bellicoso, in latino (“Peregrinus expectavi, pedes meos in cymbalis / Vincant arma crucifera! Hostis pereat!”) con sonorità dure, culmina in un crescendo feroce che, interrotto improvvisamente dall’incedere inesorabile degli ottoni, si disperde nel silenzio. Come per il coro dei crociati del secondo episodio, anche nel quarto compare l’alternanza tra due canti, ma in un ordine invertito: il primo ha un carattere più marziale ed eroico, mentre il secondo fluttua tra quieta nostalgia e nobile speranza. Il quinto episodio, quello del combattimento sul lago di ghiaccio, è il più ampio e si presenta come l’acme dell’opera. L’iniziale atmosfera di trepidante e vigile attesa lascia il posto alla battaglia, qui combattuta dando ai due eserciti una netta caratterizzazione musicale: i crociati, con frammenti del loro corale, vengono presentati per primi; seguono i russi, accompagnati da un’orchestrazione vivida ed esaltante. I temi che contraddistinguono i due schieramenti finiscono con l’inseguirsi e il sovrapporsi, lo scontro giunge all’apice, salvo poi piombare in un fosco e mortale silenzio. Il lago diventa un campo di morte, luogo di lacrime e di disperazione sul quale si diffonde il canto desolato, ma tenacemente altero, del mezzosoprano. Nell’ultimo quadro, l’ingresso a Pskov di Nevskij vittorioso è introdotto da un solenne canto iniziale, al quale seguiranno motivi e ritmi sempre più incalzanti, luminosi e festanti. L’invasore è scacciato, la santa Madre Russia ha vinto, la libertà è salva, una libertà «superiore a ogni aspettativa».

 

(Giacomo Fronzi)

domenica 27 giugno 2021

Sold out in Piazza del Plebiscito per l’apertura della seconda edizione di Regione Lirica.

 

TEATRO SAN CARLO , REGIONE LIRICA – II Edizione: Applausi per la prima di Carmen di Bizet.


Piazza del Plebiscito, 25 giugno – 17 luglio 2021


Sold out in Piazza del Plebiscito per l’apertura della seconda edizione di Regione Lirica.
In mille hanno applaudito ieri sera venerdì 25 giugno la prima di Carmen di Georges Bizet interpretata da Elīna Garanča e tutti gli artisti del cast: Brian Jadge, Mattia Olivieri, Daniele Terenzi, Gabriele Sagona Selene Zanetti, Aurora Faggioli, Mariam Battistelli, Michele Patti, Filippo Adami, il direttore Dan Ettinger, l’Orchestra, il Coro e il Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo
Lo spettacolo sarà in replica domenica 27 giugno alle 20,15.

Il prossimo appuntamento con Regione Lirica è domenica 4 luglio con il Balletto del Teatro di San Carlo protagonista di una serata intitolata Da Petipa a Nureyev, a cura della nuova direttrice del Balletto Clotilde Vayer, che prevede nella prima parte l’esecuzione di alcuni estratti da La Bella Addormentata di Pëtr Il'ič Čajkovskij con la coreografia di Marius Petipa e nella seconda parte il II Atto da Il Lago dei Cigni di Pëtr Il'ič Čajkovskij con la coreografia di Rudolf Nureyev.
Lo spettacolo andrà poi in scena al Teatro di San Carlo il 9, 10 e 11 luglio.
Guida all’ascolto di Carmen di Georges Bizet
Dal programma di sala
Ogni donna è fiele, non concede che due ore di letizia:
una sul letto di nozze, una sul letto di morte.

Con questa esaustiva epigrafe di Pallada, antico poeta alessandrino, Prosper Mérimée decreta sin da principio il sanguinario epilogo della sua Carmen. A dare il suggestivo titolo al racconto è un’ammaliante gitana che col suo intrigo porterà alla rovina Don José, uomo di saldi principi e vero protagonista della vicenda, conducendolo a un amore funesto, così folle da risolversi nella più ossessiva e fatale delle gelosie. Da questa novella, comparsa nel 1845 sulla “Revue des Deux Mondes” tra notizie di politica e suggestioni esotiche, nel 1874 Henri Meilhac e Ludovic Halévy avrebbero tratto il libretto per la Carmen musicata da Georges Bizet.
La commissione era giunta dall’impresario Camille du Locle per l’Opéra-Comique di Parigi, un teatro che da oltre un secolo ospitava spettacoli caratterizzati da parti musicate e dialoghi parlati, da elargire a famiglie borghesi abituate a rappresentazioni leggere, formali e di facile fruizione. Carmen, dunque, non poté che ricevere un’accoglienza ostile. La gestazione del lavoro non fu cosa semplice e sia testo che musica subirono continui rimaneggiamenti durante le prove: tra il tema scabroso, un’orchestrazione troppo complessa, le richieste al coro di muoversi sulla scena e le difficoltà a reperire un mezzosoprano disposto a prestarsi a un finale dissoluto e immorale come la morte, Bizet stava mettendo a dura prova la resistenza del teatro dell’Opéra.
La prima del 3 marzo 1875 fu applaudita e disprezzata; la critica si divise tra sostenitori e detrattori, tra gli affezionati alle prassi del gusto corrente e gli spiriti più inclini alle nuove tendenze artistiche. Tra questi secondi figurò Célestine Galli-Marié che, oltre a vestire per prima i panni della protagonista, fu tra i maggiori alfieri dell’opera. Eppure di lì a poco Carmen avrebbe decretato il successo internazionale e postumo del suo compositore. Il trentaseienne Georges Bizet, morto esattamente tre mesi dopo la prima all’Opéra parigina, non poté godere del consenso tributato al suo lavoro. Fu lungimirante Friedrich Nietzsche nell’affermare entusiasta che questo dramma avrebbe segnato i repertori di tutta Europa. Ancora oggi Carmen è tra le opere più rappresentate di sempre. Epurato dalle parti più cruente, il racconto di Mérimée, ambientato a Siviglia ai primi dell’Ottocento, era riproposto in una formula drammaturgicamente perfetta: quattro personaggi chiave, un contenzioso sentimentale, la musica a definire il luogo e il significato dell’azione e un destino onnipresente, rivelato fin dal tema del Prélude.
Nei quattro quadri che compongono l’opera va in scena un gioco di potere espresso nella funzione dei diversi ruoli. Carmen è una donna, una sigaraia e una gitana. La sua figura è il sunto di quanto meno accettabile per la società. Eppure la sua forza, il potere effimero della libertà, è valore ancestrale e supremo. Il motto “vivere liberi o morire”, repubblicano e pienamente francese, descrive in maniera compiuta il personaggio di Carmen. La donna entra in scena presentandosi con una sublime e perturbante Habanera; chiarisce dal principio la sua visione dell’amore, un sentimento libero da imposizioni e orgogliosamente rivendicabile a costo della vita.
Nella rituale reiterazione ossessiva del ritmo dell’Habanera Carmen affascina e incanta gli astanti con l’incedere luttuoso di una melodia gitana, estranea alla musica colta occidentale. A lei sola, il compositore riserva la vitalità delle nacchere che scandiscono con ritmo euforico il fluire del tempo. Ed è proprio il suo istinto che l’esotismo della musica vuole esprimere: una pulsione sconosciuta alla ragione dell’uomo civile, lontana e incontrollabile, intrisa di erotismo e di magia.
Nella Francia dell’Imperialismo coloniale in cui vive Bizet, Carmen pone in scena i rapporti tra condizione civile e selvaggia, lucidamente espressi nella dicotomia tra istinto e ragione. Don José, nuovo Otello, è l’incarnazione della giurisdizione. Uomo di origini comuni e legato ai valori della famiglia e della patria, si autodetermina nel potere del controllo e del comando. Ha totale discrezionalità sulla vita di lei lungo tutto il dramma, dalla decisione iniziale di liberarla dalla prigionia fino all’assassinio di cui rivendica con dolore l’autorialità nell’ultimo disperato grido “c’est moi qui l’ai tuée!”.
Ammaliato dal fascino delle emozioni libere e coinvolto nel desiderio della possessione, l’uomo giunge alla sua personale disfatta mettendo progressivamente in discussione le logiche razionali fino al riaffiorare della sua indole. L’arte del compositore si esprime anche attraverso i personaggi di Escamillo e Micaëla che fungono da contrappeso e apportano equilibrio alla vicenda. I due offrono un espediente all’azione e prendono corpo rispettivamente in una musica “fatua”, rappresentazione del prestigio sociale del toreador, e in una lirica formale, espressione della purezza spirituale della donna-angelo. In uno scenario che è tanto tragico quanto più è festante, la Spagna di Bizet non è solo un’ambientazione folklorica o il pretesto per un esotismo di maniera ma è sede di desideri e dissidi, è lo spazio del pathos, passione e patimento insieme, il luogo in cui prendono corpo ritmi frenetici, melodie sinuose e forme popolari prestate alla lirica, come il Paso Doble della corrida, la Seguidille o l’Habanera che il compositore ricavò dal brano El arreglito scritto da Sebastián Iradier e molto in voga in Francia in quegli anni. L’orchestra, con tutta la tavolozza di timbri, si concede a questa creazione.
Bizet entra a gamba tesa nel realismo più crudo, raccontando la storia di ogni epoca e di ogni società patriarcale. Scava in maniera incisiva nella psicologia dei personaggi attraverso il racconto musicale di una realtà, quella del sottoproletariato urbano, che nella Parigi della seconda rivoluzione industriale stava avanzando con la vacuità e la dissoluzione propri di uno strato sociale sofferente e capace di piegare ogni ferrea fiducia nella razionalità del progresso.
Ma il potere seduttivo del sanguinario contrasto tra Eros e Thanatos ha destinato quest’opera a un successo senza tempo.
(Maria Rossetti

Musiche di Čajkovskij, Piazzolla, Stravinsky per il concerto diretto da Carlo Goldstein sul podio dell’Orchestra del Teatro Massimo.

Musiche di Čajkovskij, Piazzolla, Stravinsky per il concerto diretto da Carlo Goldstein sul podio dell’Orchestra del Teatro Massimo.


Con l'ouverture-fantasia di Pëtr Il'ič Čajkovskij, ispirata a Romeo e Giulietta di William Shakespeare, si apre domenica 27 giugno alle 20.00 l’ultimo concerto in programma al Teatro Massimo di Palermo, prima di spostarsi al Teatro di Verdura con la Stagione estiva di opere e concerti e balletti. All'ouverture-fantasia seguono, con il trascinante bandoneón di Mario Stefano Pietrodarchi, i Tres tangos sinfónicos di Astor Piazzolla. Chiude il programma la seconda suite da L’oiseau de feu di Igor Stravinsky.

Sul podio dell’Orchestra del Massimo, Carlo Goldstein, tra i migliori giovani direttori della scena internazionale, collaboratore di Omer Meir Wellber, che ne ha scoperto anni fa il talento straordinario. Dopo una formazione musicale al Mozarteum di Salisburgo e al Royal College of Music di Londra, tra gli impegni futuri di Goldstein, che torna a Palermo dopo la Cavalleria rusticana della scorsa estate, si segnalano il suo debutto come direttore ospite alla BBC Philharmonic e il ruolo di direttore ospite principale della Wiener Volksoper dalla stagione 2022/23.

Il programma del concerto prende le mosse dall’ouverture-fantasia di Čajkovskij, uno dei lavori sui quali il compositore fu impegnato più a lungo, realizzandone ben tre revisioni. L’opera ripercorre i temi principali del dramma shakespeariano: dal primo incontro della coppia di innamorati, alla scena del balcone di Giulietta, all'odio tra i Montecchi e i Capuleti rivali e lo scontro fisico e 'metallico' della battaglia, fino all’epilogo drammatico.

Si cambia tema e scenario nella seconda parte del programma con i Tres tangos sinfónicos di Astor Piazzolla nell’orchestrazione e cadenza di Fabio Conocchiella. E già il titolo dei Tres Tangos Sinfónicos è emblematico dell'operazione di rinnovamento del genere musicale compiuta dal musicista argentino, cresciuto a New York,  che diede al tango un respiro internazionale e sinfonico. Al bandoneón un esecutore brillante e di raffinata musicalità come Mario Stefano Pietrodarchi.

Chiude il programma L’oiseau de feu (seconda suite, 1919), prima composizione per la scena di Igor Stravinsky per i Balletti russi di Djaghilev, che debuttò all'Opéra di Parigi nel 1910 alla presenza di artisti come Marcel Proust, Paul Claudel e Sarah Bernhardt che ne decretarono il grande successo internazionale. La sua storia attinge al folklore e alle fiabe russe e il linguaggio musicale vede la contrapposizione di due mondi differenti, quello magico dell'Uccello di fuoco, che ha connotazioni orientaleggianti che risaltano con l'uso di un accentuato cromatismo e quello umano e terreno del principe Ivan, rimarcato nella partitura da motivi diatonici legati a suggestioni ciakovskijane.

Il concerto, della durata di due ore, con un intervallo, chiude il programma di opere e concerti in Sala Grande. La programmazione proseguirà all’aperto, al Teatro di Verdura, dove il 4 luglio, il direttore musicale Omer Meir Wellber dirigerà due capolavori del Novecento: il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Sergej Rachmaninov (Daniel Ciobanu solista), e la Cantata Aleksandr Nevskij per mezzosoprano, coro e orchestra, di Sergej Prokofiev per le musiche di scena del film omonimo di Sergej Ejzenstejn e la proiezione delle scene del film. Solista è il mezzosoprano Natalia Gavrilan, con il Coro del Teatro diretto da Ciro Visco.

Biglietti e abbonamenti sono acquistabili in biglietteria dal lunedì al sabato dalle ore 9.30 alle ore 15.30 e nei giorni di spettacolo, a partire da due ore prima dell’inizio. Per l'acquisto telefonico il call center è attivo dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 18.00: Tel. +39 091 8486000. Biglietteria online su www.ticketone.it
È possibile acquistare abbonamenti e biglietti utilizzando i voucher ricevuti per gli spettacoli cancellati della stagione 2020. I voucher emessi dalla biglietteria possono essere utilizzati per l’acquisto sia presso la biglietteria che presso il call center. I voucher emessi da Ticketone e dai punti vendita autorizzati possono essere utilizzati esclusivamente per acquisti sul sito Ticketone.

 

Il ritorno di Ulisse in patria, tragedia di Claudio Monteverdi, è il terzo titolo operistico dell’83esima edizione del Festival del Maggio Musicale in scena dal 28 giugno all’8 luglio, al Teatro della Pergola.

                                          83esimo FESTIVAL DEL MAGGIO MUSICALE FIORENTINO

 


Il ritorno di Ulisse in patria, di Claudio Monteverdi,

dal 28 giugno all’8 luglio al Teatro della Pergola.
 
Ottavio Dantone dirige l’Accademia Bizantina per la regia di Robert Carsen.

Tra le voci: Charles Workman, Anicio Zorzi Giustiniani, Delphine Galou.

 

Quattro recite il 28, 30 giugno; 3, 8 luglio alle ore 19.

Esaurita la prima recita del 28, pochi i posti disponibili per le recite successive.

L’opera verrà registrata e poi trasmessa in video sulle piattaforme ITsARt e CueTv Operabase

 

Il ritorno di Ulisse in patria, tragedia di lieto fine in un prologo e tre atti di Claudio Monteverdi, è il terzo titolo operistico dell’83esima edizione del Festival del Maggio Musicale in scena dal 28 giugno all’8 luglio, alle ore 19, al Teatro della Pergola. Sul podio il maestro Ottavio Dantone, a dirigere l’Accademia Bizantina, per la regia di Robert Carsen. L’opera va in scena dopo l’Adriana Lecouvreur inaugurale, La forza del destino diretta dal maestro Zubin Mehta e subito prima di Siberia di Umberto Giordano. Al Maggio è stata messa in scena solo in tre occasioni: due alla Pergola (1942 e 1999) e una al Comunale (1987).

 

Nel cast composto da Toni Gradsack, casting manager del Maggio, Charles Workman (Ulisse), Anicio Zorzi Giustiniani (Telemaco), Delphine Galou (Penelope), John Daszak (Iro), Francesco Milanese (Il Tempo), Marina De Liso (Giunone), Eleonora Bellocci (La Fortuna), Gianluca Margheri (Giove), Guido Loconsolo (Nettuno), Arianna Vendittelli (Minerva), Konstantin Derri (Amore), Andrea Patucelli (Antinoo), Pierre-Antoine Chaumien (Anfinomo), James Hall (Pisandro), Miriam Albano (Melanto), Hugo Hymas (Eurimaco), Mark Milhofer (Eumete), Ericlea (Natascha Petrinsky). Le scene sono di Radu Boruzescu, i costumi di Luis Carvalho, le luci di Robert Carsen e Peter van Praet e la drammaturgia Ian Burton.

Il ritorno di Ulisse in patriamelodramma con prologo e tre atti su libretto di Giacomo Badoaro, è uno degli ultimi e straordinari frutti della vena creativa di Claudio Monteverdi realizzato nel periodo veneziano. Era passato tanto tempo da quando il musicista aveva impresso per sempre il suo nome nella storia dell’opera con l’Orfeo, allestito alla corte di Mantova nel 1607. E dopo un ventennio d’invenzioni e successi trascorso a servizio dei Gonzaga, Monteverdi sentì il bisogno di trovare altrove nuovi stimoli. La scelta ricadde su Venezia, dove oltre all’incarico di maestro di cappella in San Marco il musicista si dedicò anche alla produzione madrigalistica e operistica. Nella città lagunare erano stati inaugurati da poco i teatri pubblici con la conseguente richiesta di drammi sempre nuovi. Il ritorno di Ulisse in patria nacque in quel contesto e andò in scena nel 1640 al Teatro dei SS. Giovanni e Paolo. L’opera fu eccezionalmente riproposta anche l’anno seguente a dimostrazione del favore indiscusso di cui godeva l’anziano maestro, che ancora una volta aveva colpito nel segno. E anche se la musica nell’Ulisse non è destinata a sedurre l’orecchio quanto piuttosto a servire la poesia secondo i dettami del ‘recitar cantando’, Monteverdi riesce comunque a caratterizzare i suoi personaggi con uno stile vocale incisivo e adeguato alla loro natura e sempre funzionale al racconto.

Il ritorno di Ulisse in patria è un’opera meravigliosa, forse una delle opere più belle della storia per la sua grande pregnanza musicale e drammaturgica” dice il maestro Ottavio Dantone. “Anche se è stata scritta nel 1640, è un’opera molto moderna con tutte le basi di ciò che sarebbe venuto successivamente nel mondo del teatro. Insieme all’Accademia Bizantina e al regista Robert Carsen stiamo facendo un grande lavoro e il risultato sarà un grande spettacolo per gli occhi e le orecchie

 

La regia è di Robert Carsen che dice: “Il ritorno di Ulisse in patria è un lavoro unico nel suo genere perché ci sono vari livelli della storia che nascono tutti dal libretto: quello allegorico che viene da Omero (Tempo, Amore e Fortuna), la nostra contemporaneità (Ulisse e Penelope) e quello degli Dei che viene da Monteverdi (Giove, Nettuno, Minerva). L’opera è anche molto shakespeariana e infatti ho voluto fare in modo di non avere tanti cambi di scena, ma solo un unico spazio in cui accade tutto.

 

Nel ruolo del protagonista, al suo debutto a Firenze, Charles Workman che dice: “Tutti conoscono Ulisse e le sue avventure: un personaggio mitico che ha fatto la guerra contro Troia e che, per 20 anni, non riesce a tornare nella sua casa ad Itaca e, soprattutto, da sua moglie Peneleope che gli resta fedele per tutto il tempo. Robert Carsen sta facendo un lavoro bellissimo con il mio personaggio e sono convinto che sarà uno spettacolo meraviglioso. Con tutto il cast ci stiamo divertendo molto a metterlo in scena”.

 

A interpretare la moglie del protagonista il contralto Delphine Galou che torna a Firenze dopo otto anni da “Il Farnace” di Antonio Vivaldi che andò in scena al Teatro Goldoni nel 2013 (diretto dal maestro Federico Maria Sardelli): “Sono molto felice di cantare il ruolo di Penelope: è una donna molto commovente che ha forza e determinazione ed è una vera sfida interpretare questo personaggio sul palcoscenico. Robert Carsen e Ottavio Dantone stanno facendo un lavoro meraviglioso con me e con tutto il cast, colleghi strepitosi e molto gentili, e sul palco c’è una bellissima atmosfera”.

 

Anicio Zorzi Giustianiani, già protagonista in varie produzioni del Maggio, è Telemaco, figlio di Ulisse e Penelope: “Il mio personaggio, come sappiamo dall’Odissea, cerca il padre ovunque, ma riesce a vederlo solo per volere di Minerva e, per quel momento, il compositore Monteverdi ha scritto un duetto bellissimo. Telemaco, come gli altri due protagonisti, avrà un lieto fine in cui vedrà, finalmente, i genitori ricongiungersi. La produzione di Robert Carsen è meravigliosa e, insieme anche al Maestro Ottavio Dantone, stiamo facendo un grande lavoro nell’interpretare perfettamente la parola, che nel recitar cantando è fondamentale, e a trovare un significato ad ogni singola frase cantata. È un lavoro minuzioso, ma ci sta servendo per crescere come artisti.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL RITORNO DI ULISSE IN PATRIA

Tragedia di lieto fine in un prologo e tre atti (realizzata in 2 parti)

Poesia di Giacomo Badoaro
 
Musica di Claudio Monteverdi

Edizione critica a cura di Bernardo Ticci
 BTE - Bernardo
Ticci edizioni, 2021
 Edizione pratica: Maggio Musicale Fiorentino 2021, a cura di
Ottavio Dantone

Nuovo allestimento

Maestro concertatore e direttore Ottavio Dantone

Regia Robert Carsen

Scene Radu Boruzescu

Costumi Luis Carvalho

Luci Robert Carsen e Peter van Praet
 
Drammaturgo Ian Burton

Ulisse Charles Workman

Telemaco Anicio Zorzi Giustiniani

Penelope Delphine Galou

Iro John Daszak

Il Tempo Francesco Milanese

 

Giunone Marina De Liso

La Fortuna Eleonora Bellocci

Giove Gianluca Margheri

Nettuno Guido Loconsolo

Minerva Arianna Vendittelli

Amore Konstantin Derri
 
Antinoo Andrea Patucelli
 
Anfinomo Pierre-Antoine Chaumien
 
Pisandro James Hall
 
Melanto Miriam Albano
 
Eurimaco Hugo Hymas
 
Eumete Mark Milhofer
 
Ericlea Natascha Petrinsky

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Accademia Bizantina

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Assistente regista Philippe Jordan, Jean-Michel Criqui
 
Assistente scenografo Catalina Defta
 
Aiuto costumista Edoardo Russo
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Figuranti speciali Carolina Hannah Braus, Francesca Cellini, Lucia Lorè, Erika Rombaldoni, Davide Arena, Andrea Bassi, Giacomo Casali, Giampaolo Gobbi, Luca Nava, Giuseppe Nitti, Marlon Zighi Orbi, Leonardo Paoli, Carlo Pucci, Andrea Salierno, Aulo Sarti, Lorenzo Terenzi,
 
Gaetano Tizzano, Leonardo Venturi, Federico Zini
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Allestimento Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
 
Si ringrazia Dardanelli/Riproduzioni Litografiche Srl, Firenze e Alter Ego Srl, Firenze
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 Con
sopratitoli in italiano e inglese a cura di Prescott Studio, Firenze
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Robert Carsen dedica con ammirazione e amicizia la regia di questa nuova produzione de Il ritorno d’Ulisse in patria, alla gioiosa memoria del suo caro amico Barone Alessandro di Renzis-Sonnino.