Juraj Valčuha dirige Prokof’ev e Chačaturjan
mercoledì
7 luglio 2021 ore 20,15
Giunge
al terzo appuntamento Regione Lirica, manifestazione del Teatro di
San Carlo in Piazza del Plebiscito sostenuta dalla Regione
Campania.
Dopo
il successo di Carmen e del Balletto La bella addormentata / Il Lago
dei cigni sarà la volta del concerto che vedrà protagonisti mercoledì 7 luglio 2021 alle ore 20,15 l’Orchestra
e il Coro del Teatro di San Carlo.
Sul
podio Juraj Valčuha che dirigerà la Suite n. 2 per orchestra, tratta dal
balletto in tre atti Spartacus di
Aram Chačaturjan e la cantata di Sergej Prokof'ev Alexander Nevskij Op. 78.
Mezzosoprano Ekaterina Semenchuck,
Maestro del Coro Josè Luis Basso.
Guida
all’ascolto tratta dal programma di sala
Voci dalla Russia nel Novecento:
Aram Chačaturjan e Sergej Prokof’ev
La libertà! La vera libertà, non quella a parole, non
quella delle rivendicazioni, ma una libertà caduta dal cielo, superiore a ogni
aspettativa. È una libertà ottenuta per caso, per un malinteso.
(B.
Pasternak, Il dottor Živago)
Sergej Sergeevič Prokof’ev (1891-1953) e Aram Il’ič
Chačaturjan (1903-1978), nati a poco più di dieci anni di distanza, hanno
entrambi vissuto le turbolenze della prima metà del XX secolo, oscillando tra
un sentimento di piena adesione al più puro spirito russo e alle sue più alte
espressioni e la necessità di convivere, tragicamente, con un regime violento,
antidemocratico e illiberale. I due compositori, oltre alle comuni radici
culturali, hanno condiviso almeno tre episodi importanti.
1943. Il secondo conflitto mondiale è a un punto di svolta e Stalin,
galvanizzato dal riuscito respingimento delle truppe tedesche da Stalingrado,
sente prossima la vittoria. È convinto che l’Unione Sovietica, a guerra finita,
sarebbe diventata una superpotenza mondiale e che, come tale, avrebbe dovuto
dotarsi di un inno nazionale adeguato alle proprie ambizioni e al proprio ruolo
futuro. Al concorso indetto per l’occasione giungono centinaia di proposte, tra
le quali quelle di Šostakovič, Prokof’ev e Chačaturjan. Arriveranno in finale
gli inni di Šostakovič e di Chačaturjan, che otterranno un dieci da Stalin, il
quale però, pur riconoscendone l’originalità, li considererà inadeguati. Sarà
invece scelto il lavoro di Aleksandr Aleksandrov.
Di lì a poco, Prokof’ev e Chačaturjan incroceranno nuovamente i propri
destini, questa volta in una cornice meno rassicurante. Un piccolo passo
indietro. Dalla metà degli anni Trenta, in molti si troveranno a dover mediare
tra la propria libertà creativa, la professione di compositore e le direttive
di Andrej Ždanov, protagonista indiscusso della politica culturale sovietica e
sostenitore di una ferrea censura contro le opere “formaliste”, perciò stesso,
considerate degenerate. Il culmine si tocca con la storica risoluzione del
Comitato Centrale del PCUS del 10 febbraio 1948, con la quale vengono
condannati diversi compositori, compresi Prokof’ev e Chačaturjan, «nella cui
opera le perversioni formalistiche e le tendenze antidemocratiche sono
particolarmente appariscenti».
Entrambi i compositori cercano di attutire il colpo o autoisolandosi, come
nel caso di Prokof’ev, o ammettendo le proprie “colpe”, come nel caso di
Chačaturjan. A prescindere dalle loro scelte, i due saranno tuttavia pienamente
riabilitati nel 1958, con l’annullamento formale della famigerata risoluzione.
A rafforzare questo processo di riscatto, arriva anche il conferimento,
rispettivamente nel 1957 e nel 1959, di uno tra i più alti riconoscimenti
dell’Unione Sovietica, il Premio Lenin, sia a Prokof’ev, per la Sinfonia n. 7, sia a Chačaturjan, per il
balletto Spartacus.
Spartacus
La Suite n. 2 per orchestra,
tratta dal balletto in tre atti Spartacus, fa parte di una serie di tre suite che
il compositore russo scrive nel 1955 e alle quali se ne aggiungerà una quarta,
pubblicata nel 1958. La seconda suite si articola in quattro brani che
ripercorrono alcuni dei momenti più intensi dell’opera, intitolati Adagio di Spartaco e Frigia; Entrata dei mercanti - Danza di una cortigiana romana - Danza
generale; Entrata di Spartaco - Lite
- Tradimento di Armodio; Danza dei
pirati.
Il balletto, concluso nel 1954, ha come protagonista lo schiavo trace
Spartaco, personaggio simbolo nell’immaginario rivoluzionario di ogni tempo,
considerato da Karl Marx una delle figure più eccezionali della storia antica,
«un grande generale (non come Garibaldi), dal carattere nobile, vero rappresentante
del proletariato antico». Potrebbe sembrare che l’obiettivo di Chačaturjan
fosse quello di realizzare un’opera militante, con la quale esortare alla lotta
sociale. Alcuni, invece, considerano a malapena riconoscibile l’eventuale
allegoria della lotta del popolo contro la tirannia zarista. Ad ogni modo,
sebbene le autorità considerassero questa lettura funzionale al proprio
impianto ideologico, quasi certamente il compositore, che già aveva vissuto
l’esperienza drammatica della censura, ha cercato di alludere velatamente a
un’altra forma di oppressione: non quella zarista ma proprio quella
dell’apparato politico sovietico sul popolo.
Il successo non arriverà in occasione della première a Leningrado del 1956 e, quando giungerà, sarà ascrivibile
non tanto alla coreografia o alla storia narrata, quanto alla musica. Ritmi
accentuati, venature post‑romantiche (che non di rado oscillano tra un
raffinato lirismo e un certo sentimentalismo) ed echi dalla tradizione musicale
popolare armena si combinano in una sorta di quadro vivente dalle tinte
estremamente dinamiche e cariche di energia.
Tutto questo caratterizza anche le suite, compresa la seconda, che si apre
con il celebre Adagio, il cui tema
diventerà così famoso da essere utilizzato per la colonna sonora della serie tv
BBC The Onedin Line, popolarissima
tra il 1971 e il 1980. La suite è attraversata da momenti di grande trasporto
ritmico, preparato dagli archi e affidato alle percussioni in dialogo con gli
ottoni, che si muovono tra ostinato e sincopato. In questo dialogo, nel quale
gli archi si inseriscono con brevi incisi dal carattere schiettamente russo,
momenti di intensa energia si succedono a intimi e sensuali interventi del
clarinetto e del violino di spalla. Fin dal secondo brano e per tutto il
decorso musicale, emerge il “contrasto” come elemento specifico e strutturante,
il quale compare a tutti i livelli (in modo meno evidente in quello armonico):
strumentazione, motivi, ritmi. Tutto è giocato su un’efficacissima dialettica
tra elementi opposti che, attraversando l’intera curva dinamica, alterna a una
scansione ritmica travolgente momenti di lirica distensione e che confluisce
nel galoppante e “piratesco” finale.
Aleksandr Nevskij
Un marcato carattere epico‑identitario è presente nella musica scritta da
Prokof’ev per il film Aleksandr Nevskij
di Ejzenštejn e dalla quale il compositore ha tratto la Cantata per mezzosoprano, coro e orchestra op. 78, su testi di
Vladimir Lugovskij, eseguita per la prima volta il 17 maggio 1939 in occasione
del XVIII congresso del Partito Comunista Sovietico.
Gli ultimi due decenni di vita e di attività di Prokof’ev, al cui interno
ricade Aleksandr Nevskij e che
coincidono con il ritorno in patria del compositore, restituiscono l’immagine
di un autore teso verso un sincretismo linguistico e stilistico che, sempre più
spesso, si combina con l’identità e la cultura propriamente russe. Certo,
moltissimi lavori non avranno alcun rapporto diretto con il mondo russo, come
ad esempio Romeo e Giulietta e tutta
la musica strumentale che scriverà fino al 1953. Tuttavia, emergerà con sempre
maggiore evidenza il profondo legame che Prokof’ev ha custodito nei confronti
dell’intero complesso immaginario della sua terra, fatto di slanci epici e di
poeticità raffinata, di fulgidi impeti e di tragiche consapevolezze. In questo
quadro, si inserisce la collaborazione con alcuni registi sovietici, frutto
anche del suo spiccato interesse nei confronti del cinema.
Dall’inizio degli anni Trenta fino alla sua morte, Prokof’ev prende in considerazione
una ventina di offerte per progetti cinematografici e alla fine ne accetta e
completa otto, lavorando con sei registi diversi. Tra questi, figura il più
importante cineasta sovietico, Sergej Ejzenštejn (1898-1948), che, con Aleksandr Nevskij (1938), realizza una
grandiosa ricostruzione della vittoria conseguita dal principe Nevskij contro i
Teutoni nel 1242. La musica scritta per il film, seppur con tagli e interventi
sull’orchestrazione, diventerà poi la Cantata
op. 78.
Dal punto di vista simbolico, c’è chi ha individuato un implicito
riferimento alla Germania nazista e il fatto che il film sia stato ritirato
poco dopo la firma del patto di non belligeranza con la Russia (23 agosto 1939)
sta solo a indicare la volontà di non creare pericolosi e imbarazzanti
malintesi. Più probabilmente, quindi, si tratta della volontà di celebrare uno
dei momenti gloriosi della storia russa, in un quadro storico, questo sì,
complesso e instabile. Dal punto di vista musicale, scrive Prokof’ev, la
tentazione di utilizzare musica dell’epoca è stata grande. Tuttavia, quella
musica sarebbe risultata troppo lontana ed emotivamente estranea allo
spettatore del XX secolo, la cui immaginazione, quindi, non sarebbe stata
adeguatamente stimolata.
La cantata è articolata in sette episodi che ripercorrono i momenti
salienti della vicenda (La Russia sotto
il giogo dei Mongoli, Canto su
Aleksandr Nevskij, I crociati a Pskov,
Insorgi, popolo russo!, La battaglia sul ghiaccio, Il campo della morte, Entrata di Aleksandr Nevskij a Pskov).
Prokof’ev - che dimostra di aver interiorizzato e personalizzato la lezione di
Borodin e le radici epiche di buona parte della cultura russa - con il primo
brano crea un’atmosfera arcaica che pare preludere, senza enfasi alcuna e,
anzi, con un’intonazione drammatica, a qualcosa di grandioso. Nel secondo
episodio inizia a emergere il carattere epico dell’opera. Il coro, nel ricordo
delle vittorie passate, che si mescola alla minaccia rivolta a chiunque intenda
marciare contro la Russia, alterna un canto lento e dalla solida fierezza a
momenti ritmicamente più incisivi. Nel terzo brano, l’arrivo dei crociati,
realizzato combinando una litania, dal carattere bellicoso, in latino
(“Peregrinus expectavi, pedes meos in cymbalis / Vincant arma crucifera! Hostis
pereat!”) con sonorità dure, culmina in un crescendo feroce che, interrotto
improvvisamente dall’incedere inesorabile degli ottoni, si disperde nel
silenzio. Come per il coro dei crociati del secondo episodio, anche nel quarto
compare l’alternanza tra due canti, ma in un ordine invertito: il primo ha un
carattere più marziale ed eroico, mentre il secondo fluttua tra quieta
nostalgia e nobile speranza. Il quinto episodio, quello del combattimento sul
lago di ghiaccio, è il più ampio e si presenta come l’acme dell’opera.
L’iniziale atmosfera di trepidante e vigile attesa lascia il posto alla
battaglia, qui combattuta dando ai due eserciti una netta caratterizzazione
musicale: i crociati, con frammenti del loro corale, vengono presentati per primi;
seguono i russi, accompagnati da un’orchestrazione vivida ed esaltante. I temi
che contraddistinguono i due schieramenti finiscono con l’inseguirsi e il
sovrapporsi, lo scontro giunge all’apice, salvo poi piombare in un fosco e
mortale silenzio. Il lago diventa un campo di morte, luogo di lacrime e di
disperazione sul quale si diffonde il canto desolato, ma tenacemente altero,
del mezzosoprano. Nell’ultimo quadro, l’ingresso a Pskov di Nevskij vittorioso
è introdotto da un solenne canto iniziale, al quale seguiranno motivi e ritmi
sempre più incalzanti, luminosi e festanti. L’invasore è scacciato, la santa
Madre Russia ha vinto, la libertà è salva, una libertà «superiore a ogni
aspettativa».
(Giacomo Fronzi)
Nessun commento:
Posta un commento