Alessandro Stefanelli e la Ricerca dell’Armonia
Cercare. Ancora
cercare.
Sempre cercare. E
meravigliarsi.
E gioire. E
continuare nella ricerca,
stupefatta del suo
procedere sereno e puro
sull’onesto
tracciato della dismisura:
sensazione grande,
occasione di rinnovamento
delle
significazioni più fragili e vulnerabili che abitano il mondo:
nascita di un
pensiero che leggiadramente fluttua
sulle lievi
asprezze della vita e sorpassa ogni limite ormai troppo usato.
(Attilio Cantore - La Musica e la Grotta)
Sulla scia del pensiero di Flavio Ermini,
possiamo affermare, non senza rammarico, che la nostra vita è una terra
malamente calpestata, di volta in volta riassestata con mezzi risibili; è una
terra di esilio e di abbandono dove si assommano carestie di luce e dove la
speranza sembra essere un cartello divelto e sepolto sotto molti strati di
macerie. È vero, viviamo in un mondo che ogni giorno innalza cortine (reali e
fittizie) fra gli uomini, che ci educa e ci spinge a ostare, a respingere, a
recludere ed a stigmatizzare come nemico tutto ciò che ci circonda, anche il
nostro vicino. L’alternativa a tale deprecabile situazione
può essere solamente la disponibilità, l’apertura, l’accogliere: ciò comporta
un’alterazione di quel medesimo (che
noi crediamo di essere) in favore di un incontro;
significa il decentramento dell’auto-centrismo, la rottura di un farraginoso
solipsismo, lo sfuggire alla presa di un io
vuoto e fagocitante, un rinunciare ad un soggetto-centro (coscienza polare di
sé) e scoprire, al contrario, un fungere della soggettività come luogo di
inserzione all’altro, al prossimo; un rovesciamento di baricentro che ci
insegni a fidarci (o meglio, ad affidarci) agli altri, per poterci poi riconoscere (senza timori e paure)
negli occhi dell’eterno fratello (disse
Zweig) e vivere una vera cristiana scuola di fraternità.
Lo sguardo dell’uomo (ma
soprattutto quello dell’artista, che
è per divina ispirazione l’interprete degli dèi presso di noi) è fondamentalmente
contrasto, fusione, identificazione, incontro, integrazione, riconoscimento,
ripresa. È indubbio, noi ricerchiamo ognora un contatto,
un incontro, un dialogo; ma per ridare alla nostra umanità disorientata
qualche segno di speranza bisogna andare ben al di là di un dialogo degli
uomini, delle culture o delle credenze: bisogna indirizzarsi lungo i sentieri
di un rinvigorente dialogo delle anime
(direbbe il musicista Jordi Savall) che possa far risuonare nel mondo l’armonia perduta. Bisogna puntare
all’affratellamento, guardando a esso come ad un’arca noachita in cui possano convergere
tutte le differenze e possano convivere pacificamente mille nuances contrastanti. Ecco ché il quesito quem queris? (un
fosforeggiante “chi cerchi?”) diviene per noi uomini il liquido amniotico del
tutto: diviene la chiave di volta della cattedrale della nostra anima.
Il giovane
musicista Alessandro Stefanelli,
nell’organizzare il raffinato “quem queris?” Concerto-Meditazione
per Soli, Coro e Orchestra (che avrà luogo venerdì 5 settembre presso la Chiesa
Madre Santa Maria La Nova di Pulsano
(TA) alle ore
20:00), ha avvertito la prorompente necessità di superare, in questa nostra
terra devastata, il “trauma” umano (potremmo anche dire, etimologicamente, la
nostra inguaribile “frattura” spirituale) per affermare, attraverso
l’albeggiare della purezza della musica, la pienezza del nostro rapporto con
noi stessi, col mondo e col sacro, verso un ricongiungimento autentico che
preluda al trionfo sacrosanto dell’armonia.
Quello proposto da
Stefanelli è un intenso tragitto fra gli specchi deformanti degli abissi
rizomatici del nostro Essere; nella dismisura del silenzio meditativo che il
misticismo impone, è una ricerca di vaghi accordi siderali e mai udite
intonature dell’esistenza. Fra i vari brani del giovanissimo e talentuoso compositore,
vorrei segnalarne almeno tre…
Il Kyrie
scatena subito in noi ribollenti emozioni contrastanti, fra lo spavento e
l’estasi (Rilke avrebbe detto Schrecken
und Entzücken), conducendoci nelle più terribili e venerande caverne del
nostro spirito; il primo accordo, vibrante, diviene quasi “nido dell’universo”,
primiziale nisus vitale, come stupefatta
e appassionata promessa del sorgere e pulsare della nostra istessa vita
(spirituale). Vaghe atmosfere rinascimentali sembrano condurci al cospetto di una possibile
rivelazione; in un fremente anelito di pace, il finale s’invola poi misticamente
in una cadenza piccarda che in una
luce ampia, emblematicamente, trionfa felice, come se sui dolori dell’uomo le
stelle posassero infine il loro sguardo mite e augurale.
L’Agnus
Dei, prezioso nel cromatismo ricercato, diviene simbolo di perfetta
metamorfosi rigenerativa, giacché nella seconda parte sa ben trasfigurare la
sua essenza placida e dolce in una virulenta perorazione di grazia, supportato
da adamantine e portentose incursioni del clarinetto, sognante nei suoi fremiti
apollinei.
Il Signore è mia luce e mia salvezza, dopo un melanconico e soffuso dialogo dell’arpa
con il coro (la cui eterea voce aleggia, parrebbe in sordina, come velo
claustrale e virgineo), dona voce possente all’orchestra che, vulcanica,
sfavilla in un inno di amore e fraternità, verso una rinascenza cosmica.
Degno di lode e
plauso l’intento ambizioso di questo sapiente oratorio scritto da Alessandro
Stefanelli: cercare primieramente di far risuonare il nostro spirito, oltre
ogni dicibile parola ed oltre ogni udibile suono, facendo sì che esso diventi
(in un processo di Verwandlung, di
fermentativa metamorfosi) eco sublime che rimbalzi fra i simboli della Natura, che
tutto dicono meglio, per ritrovare finalmente l’Armonia da lungi perduta (come ci avverte Hölderlin) ma da sempre
potentemente presentita.
Questo viaggio
letterario e musicale imbastito da Stefanelli ci ricorda che, in mutua santità
col mondo e sempre vivendo nella ricerca di persone o momenti che ci donino anders nach Gluckverlangen (altri modi
di desiderare la felicità), alla fine del nostro “sogno armonico” molto
probabilmente (come direbbe Ghiannis Ritsos) non [ci sarà] più niente che
piegh[erà] la [nostra] vita e [c]i faccia abbassare lo sguardo, e non [ci sarà] niente che [noi] non po[tremo] mostrare con orgoglio e cantare, e non [ci
sarà] niente che [c]i impedi[rà] di volgere il [nostro] viso
verso il sole.
Interpreti
SOLI
Sara Intagliata, soprano
Vincenzo Franchini, alto
Manuel Amati, tenore
Pasquale Greco, baritono
Sara Intagliata, soprano
Vincenzo Franchini, alto
Manuel Amati, tenore
Pasquale Greco, baritono
CORO
Soprani: Serena Mastrangelo, Valeria Lagrotta.
Contralti: Ilaria Pasanisi, Roberta Pagano.
Tenori: Antonio Mandrillo, Leo Carucci.
Bassi: Cataldo Lodeserto, Diego Zecchino.
ORCHESTRA
Flauto: Daniela Pascale
Clarinetti: Matteo Mastromarino, Luigi Romano
Corno: Gianni Ruta
Tromba: Giovanni Fanelli
Violini: Francesca Cacciotta, Cristina de Pasquale,
Flauto: Daniela Pascale
Clarinetti: Matteo Mastromarino, Luigi Romano
Corno: Gianni Ruta
Tromba: Giovanni Fanelli
Violini: Francesca Cacciotta, Cristina de Pasquale,
Flavia Madaghiele, Petra Simone, Marco Marzialetti
Viola: Felisia Chiarello, Sabrina Semerato
Violoncello: Alessandra Cacciotta
Contrabasso: Alessandro Iacca
Arpa: Zaira Bruno
Organo: Mariangela Quaranta
Percussioni: Luca Pisto
Viola: Felisia Chiarello, Sabrina Semerato
Violoncello: Alessandra Cacciotta
Contrabasso: Alessandro Iacca
Arpa: Zaira Bruno
Organo: Mariangela Quaranta
Percussioni: Luca Pisto
VOCE NARRANTE
Pierantonio Ruggiero
DIREZIONE
Alessandro Stefanelli
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