Al Teatro Massimo di Palermo Jenůfa in prima nazionale
Il capolavoro del realismo slavo riletto dal grande
regista Carsen
Domenica la prima, repliche fino al 2, sul podio il
direttore musicale del Teatro Gabriele Ferro
L’opera manca dalle scene palermitane dal 1979
PALERMO. Il capolavoro del realismo slavo riletto dal
grande regista Robert Carsen. Arriva in prima nazionale al Teatro Massimo di
Palermo Jenůfa del
compositore ceco Leóš Janáček nell’allestimento dell’Opera di Anversa. La prima, domenica 23
ottobre alle 20.30, repliche fino al 2 novembre. Sul podio c’è Gabriele Ferro, direttore musicale
del Teatro Massimo. Un allestimento contemporaneo per un’opera di ambientazione popolare, composta
tra il 1894 e il 1903, e rappresentata per la prima volta nel teatro di Brno il 21
gennaio del 1904 poiché precedentemente rifiutata dal direttore del Teatro
Nazionale di Praga che non ne apprezzò il linguaggio moderno e le sonorità di
stampo nazionale.
Il libretto è tratto dalla piéce teatrale Její pastorkyňa (La sua figliastra, 1890) di Gabriela Preissová, esponente di una
certa importanza nel teatro cèco di fine secolo, ambientato nei villaggi
lontani dai grossi centri. Il soggetto ricorda la nostra letteratura verista
per l’ambientazione popolare e l’intensità delle situazioni. Jenůfa
è una giovane donna prima promessa sposa a Števa, da cui aspetta un figlio, ma
poi da questi rifiutata; per evitare uno scandalo la matrigna Kostelnička decide di uccidere il bambino e convincerla a sposare
Laca, l’uomo che l'ha sfigurata per gelosia nonché fratellastro di Števa;
quando, durante il matrimonio, viene scoperto l'infanticidio, Jenůfa trova la
forza per perdonare la matrigna e iniziare una nuova vita insieme a Laca.
L’opera dopo la prima rappresentazione passò quasi in sordina fino
a quando calcò le scene praghesi il 26 maggio 1916, ricevendo critiche
estremamente positive. Dopo dodici anni dalla prima, Janáček ottenne il
successo che gli spettava di diritto. In Italia venne rappresentata per la prima
volta al Teatro La Fenice di Venezia, l’11 marzo del 1941. A Palermo è stata
rappresentata una sola volta, nel 1979.
Carsen dal 1999 ha messo in scena più
della metà delle opere composte da Janáček. In particolare Jenůfa,
nel 2004, per l’Opera di Anversa. In una scena spoglia, dove il suolo in terra
battuta ci parla con immediatezza della campagna in cui si svolge l’azione,
dominano le grandi finestre e porte che fisicamente rappresentano il villaggio
e che vengono spostate a comporre i vari ambienti dell’opera. Partendo dal
fatto che la gravidanza di Jenůfa viene tenuta nascosta a tutti per mesi perché
la matrigna rinchiude la ragazza in casa, Carsen ci mostra il voyeurismo degli
abitanti: dalle finestre si vedono occhi che scrutano, dalle porte si affacciano
curiosi, non esistono pareti solide ma solo aperture che possono da un momento
all’altro cedere alla pressione esterna e rendere pubblico ciò che era privato.
Un’opera corale, in cui ai protagonisti
si affiancano una moltitudine di personaggi secondari ma non per questo meno
importanti, dal sindaco con moglie e figlia fino al pastorello analfabeta, che
nella regia di Carsen ricevono ciascuno la giusta attenzione. Elemento
fondamentale è poi l’acqua: l’acqua gelida del fiume in cui Kostelnička va a
gettare il bambino per permettere alla figliastra di sfuggire alla vergogna e
alla riprovazione del villaggio e consentirle di sposare Laca che ne è
innamorato, il ghiaccio che restituirà il cadaverino proprio durante le nozze
di Jenůfa, ma anche la pioggia dorata redentrice che in ultimo abbraccia la
coppia dopo tante sofferenze: il ghiaccio si è definitivamente sciolto, l’acqua
è di nuovo simbolo di vita, della nuova vita di Laca e Jenůfa.
Jenůfa o, più correttamente, Její pastorkyňa (La sua figliastra) è la terza opera di
Janáček. La stesura della partitura avvenne in un periodo difficile per il
compositore che dovette superare la prematura morte dei due figli (Vladimir morì
nel 1890, Olga nel 1903); dopo anni di intenso lavoro e di studi, quello che ne
risulta è un'opera che rappresenta la summa delle sue ricerche etnologiche e
stilistiche. La novità della composizione sta nello stile musicale, che
oltrepassa il modello del dramma wagneriano dei Leitmotive: infatti non troviamo più lo sviluppo di temi
conduttori ma elaborazioni di semplici cellule, che ritornano all’interno
dell’opera con delle continue variazioni, mai uguali. “Janáček studiò le
inflessioni della lingua ceca, ricercandone la musicalità. Il nuovo linguaggio
musicale che ne deriva è funzionale alla drammaturgia, poiché permette di
mettere in luce la sonorità della sua lingua natìa e lo spessore psicologico
dei personaggi che, attraverso le inflessioni del parlato, esternano sentimenti
e mutamenti di stati d'animo. L’orchestra, assecondando le cadenze del parlato
e sostenendo le voci, non fa da sfondo ai dialoghi ma diviene protagonista”,
come scrive Silvia Augello nella sua introduzione all’opera.“Jenůfa è un’opera sospinta dal vento furioso di una musica tutta
figurazioni discendenti o ruotanti su se stesse in modo implacabile, come se la
musica mimasse lo stesso flusso inarrestabile della vita”, scrive Franco Pulcini
nel programma di sala. Janáček abbandona la citazione diretta delle canzoni
popolari e reinventa il folclore.
Jenůfa
è per Janáček la fanciulla mite e buona, gentile e ubbidiente con gli anziani,
la giovane istruita che insegna a leggere a un pastorello e che saprà essere,
purtroppo per pochi giorni soltanto, una madre premurosa. Števa è un giovane
sciocco, borioso e immaturo. Non è cattivo, ma semplicemente arido. Lo
stereotipo di un vacuo galletto di paese. Kostelnička, la matrigna, è il
personaggio più altamente tragico dell’opera, la vera protagonista in senso
tradizionale. Nell’originale cèco infatti l’opera s’intitola Její pastorkyňa (La sua figliastra), un
titolo che pone immediatamente la matrigna al centro dell’azione; il titolo Jenůfa si diffuse all’estero per la
traduzione di Max Brod, il quale propose l’esotico nome della ragazza, più
invitante per il pubblico di quello originale. Il carattere austero e altero di
Kostelnička, la conoscenza che ha delle cattiverie del mondo la spingono a
prendere su di sé il peccato della figliastra, ovviare con un delitto a ciò che
la società avrebbe giudicato un peccato, ed espiare alla fine la sua colpa.
L’uccisione del bambino, per la sua mentalità ristretta e bigotta, permeata di
rettitudine dogmatica, è un gesto d’amore, un’azione a fin di bene, come spiega
nella confessione pubblica del finale. “Il soggetto della ragazza madre –
scrive ancora Pulcini - è scottante e originale. Scegliere per protagonista una
giovane incinta, e farle inoltre sfigurare una guancia con un colpo di
coltello, non ha precedenti operistici. Il dramma della donna sedotta e
abbandonata in stato interessante alla mercé di una società ostile, quando non
addirittura malvagia con chi esce dai suoi schemi, è una verità sociale
imbarazzante anche e soprattutto per il pubblico dell’opera: la borghesia”.
I PROTAGONISTI
Leóš Janáček
JENŮFA
GABRIELE FERRO |
Direttore Gabriele Ferro
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Patrick Kinmonth
Collaboratore alla regia Maria Lamont
Assistente alla regia Claudia Isabel Martin
Lighting design Robert Carsen e Peter Van Praet
Personaggi e interpreti
Starenka Buryjovka Gabriella Sborgi
Kostelnička Buryjovka Ángeles Blancas Gulín
Jenůfa Andrea Danková
Laca Klemeň Peter Berger
Števa Buryja Martin Šrejma
Stárek Italo Proferisce
Rychtář Luca Gallo
Rychtářka Valeria Tornatore
Karolka Maria Hilmes
Pastuchyňa Lorena Scarlata
Barena Daniela Denschlag
Jano Viktorija Bakan
Tetka Natasa Katai
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Maestro del Coro Piero Monti
ALLESTIMENTO DELLA VLAAMSE OPERA DI ANVERSA
23, 25, 27, 30 ottobre, 2 novembre
Jenůfa - SINOSSI
La storia de La sua
figliastra ha un antefatto: la giovane e avvenente Jenůfa è amata dal
cugino d’acquisto Laca Klemeň. Durante la sua assenza per il servizio militare
la ragazza frequenta il bellissimo Števa Buryja, ricco fratellastro di Laca e
padrone del mulino. Jenůfa, all’inizio della narrazione, attende un bambino da
lui. Il primo atto si svolge accanto a un mulino in una zona montagnosa. Jenůfa
è preoccupata che presto ci si accorga del suo stato. Chiede a Števa di
sposarla, ma questi prende tempo, malgrado sia stato esonerato dal servizio di
leva. Laca, che è all’oscuro della gravidanza di Jenůfa, è geloso di Števa. Le
sfregia il bel viso per impedirle il matrimonio col rivale. Il secondo atto è
ambientato in inverno nella casa della Kostelnička, matrigna della giovane.
Jenůfa, tenuta nascosta agli occhi indiscreti del paese, ha dato alla luce un
bambino. Števa, mandato a chiamare dalla Kostelnička, malgrado le insistenze
della donna, si rifiuta di sposarla. Così sfregiata non gli piace più. Inoltre
si è fidanzato con la figlia del giudice. Laca, anch’egli convocato dalla
Kostelnička, si dichiara pronto a sposare Jenůfa, ma indugia quando viene a
sapere del figlio illegittimo di Števa. Per poter rendere possibile il
matrimonio, Kostelnička gli mente, dicendogli che il bambino è morto. Mentre
Jenůfa dorme, abbandona il bambino fra il ghiaccio di un ruscello, sostenendo
poi che è morto per malattia. Il terzo atto si svolge ancora in casa della
Kostelnička, ma in primavera. Si celebra il matrimonio fra Jenůfa e Laca. Al
momento della benedizione viene data la notizia della scoperta del cadavere di
un bambino. Jenůfa lo riconosce dalle fasce, dichiarandone la paternità di
Števa. Kostelnička confessa l’infanticidio, ne spiega le motivazioni e si
consegna alla giustizia. Jenůfa comprende solo ora l’amore di Laca e resta con
lui.
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