giovedì 20 ottobre 2016

AL TEATRO MASSIMO DI PALERMO, JENUFA, UN CAPOLAVORO DEL REALISMO SLAVO


Al Teatro Massimo di Palermo Jenůfa in prima nazionale
Il capolavoro del realismo slavo riletto dal grande regista Carsen
Domenica la prima, repliche fino al 2, sul podio il direttore musicale del Teatro Gabriele Ferro
L’opera manca dalle scene palermitane dal 1979



PALERMO.  Il capolavoro del realismo slavo riletto dal grande regista Robert Carsen. Arriva in prima nazionale al Teatro Massimo di Palermo Jenůfa del compositore ceco Leóš Janáček nell’allestimento dell’Opera di Anversa. La prima, domenica 23 ottobre alle 20.30, repliche fino al 2 novembre. Sul podio c’è Gabriele Ferro, direttore musicale del Teatro Massimo. Un allestimento contemporaneo per un’opera di ambientazione popolare, composta tra il 1894 e il 1903, e rappresentata per la prima volta nel teatro di Brno il 21 gennaio del 1904 poiché precedentemente rifiutata dal direttore del Teatro Nazionale di Praga che non ne apprezzò il linguaggio moderno e le sonorità di stampo nazionale.
Il libretto è tratto dalla piéce teatrale Její pastorkyňa (La sua figliastra, 1890) di Gabriela Preissová, esponente di una certa importanza nel teatro cèco di fine secolo, ambientato nei villaggi lontani dai grossi centri. Il soggetto ricorda la nostra letteratura verista per l’ambientazione popolare e l’intensità delle situazioni. Jenůfa è una giovane donna prima promessa sposa a Števa, da cui aspetta un figlio, ma poi da questi rifiutata; per evitare uno scandalo la matrigna Kostelnička decide di uccidere il bambino e convincerla a sposare Laca, l’uomo che l'ha sfigurata per gelosia nonché fratellastro di Števa; quando, durante il matrimonio, viene scoperto l'infanticidio, Jenůfa trova la forza per perdonare la matrigna e iniziare una nuova vita insieme a Laca.
L’opera dopo la prima rappresentazione passò quasi in sordina fino a quando calcò le scene praghesi il 26 maggio 1916, ricevendo critiche estremamente positive. Dopo dodici anni dalla prima, Janáček ottenne il successo che gli spettava di diritto. In Italia venne rappresentata per la prima volta al Teatro La Fenice di Venezia, l’11 marzo del 1941. A Palermo è stata rappresentata una sola volta, nel 1979.
Carsen dal 1999 ha messo in scena più della metà delle opere composte da Janáček. In particolare Jenůfa, nel 2004, per l’Opera di Anversa. In una scena spoglia, dove il suolo in terra battuta ci parla con immediatezza della campagna in cui si svolge l’azione, dominano le grandi finestre e porte che fisicamente rappresentano il villaggio e che vengono spostate a comporre i vari ambienti dell’opera. Partendo dal fatto che la gravidanza di Jenůfa viene tenuta nascosta a tutti per mesi perché la matrigna rinchiude la ragazza in casa, Carsen ci mostra il voyeurismo degli abitanti: dalle finestre si vedono occhi che scrutano, dalle porte si affacciano curiosi, non esistono pareti solide ma solo aperture che possono da un momento all’altro cedere alla pressione esterna e rendere pubblico ciò che era privato.
Un’opera corale, in cui ai protagonisti si affiancano una moltitudine di personaggi secondari ma non per questo meno importanti, dal sindaco con moglie e figlia fino al pastorello analfabeta, che nella regia di Carsen ricevono ciascuno la giusta attenzione. Elemento fondamentale è poi l’acqua: l’acqua gelida del fiume in cui Kostelnička va a gettare il bambino per permettere alla figliastra di sfuggire alla vergogna e alla riprovazione del villaggio e consentirle di sposare Laca che ne è innamorato, il ghiaccio che restituirà il cadaverino proprio durante le nozze di Jenůfa, ma anche la pioggia dorata redentrice che in ultimo abbraccia la coppia dopo tante sofferenze: il ghiaccio si è definitivamente sciolto, l’acqua è di nuovo simbolo di vita, della nuova vita di Laca e Jenůfa.
Jenůfa o, più correttamente, Její pastorkyňa (La sua figliastra) è la terza opera di Janáček. La stesura della partitura avvenne in un periodo difficile per il compositore che dovette superare la prematura morte dei due figli (Vladimir morì nel 1890, Olga nel 1903); dopo anni di intenso lavoro e di studi, quello che ne risulta è un'opera che rappresenta la summa delle sue ricerche etnologiche e stilistiche. La novità della composizione sta nello stile musicale, che oltrepassa il modello del dramma wagneriano dei Leitmotive: infatti non troviamo più lo sviluppo di temi conduttori ma elaborazioni di semplici cellule, che ritornano all’interno dell’opera con delle continue variazioni, mai uguali. “Janáček studiò le inflessioni della lingua ceca, ricercandone la musicalità. Il nuovo linguaggio musicale che ne deriva è funzionale alla drammaturgia, poiché permette di mettere in luce la sonorità della sua lingua natìa e lo spessore psicologico dei personaggi che, attraverso le inflessioni del parlato, esternano sentimenti e mutamenti di stati d'animo. L’orchestra, assecondando le cadenze del parlato e sostenendo le voci, non fa da sfondo ai dialoghi ma diviene protagonista”, come scrive Silvia Augello nella sua introduzione all’opera.“Jenůfa è un’opera sospinta dal vento furioso di una musica tutta figurazioni discendenti o ruotanti su se stesse in modo implacabile, come se la musica mimasse lo stesso flusso inarrestabile della vita”, scrive Franco Pulcini nel programma di sala. Janáček abbandona la citazione diretta delle canzoni popolari e reinventa il folclore.
Jenůfa è per Janáček la fanciulla mite e buona, gentile e ubbidiente con gli anziani, la giovane istruita che insegna a leggere a un pastorello e che saprà essere, purtroppo per pochi giorni soltanto, una madre premurosa. Števa è un giovane sciocco, borioso e immaturo. Non è cattivo, ma semplicemente arido. Lo stereotipo di un vacuo galletto di paese. Kostelnička, la matrigna, è il personaggio più altamente tragico dell’opera, la vera protagonista in senso tradizionale. Nell’originale cèco infatti l’opera s’intitola Její pastorkyňa (La sua figliastra), un titolo che pone immediatamente la matrigna al centro dell’azione; il titolo Jenůfa si diffuse all’estero per la traduzione di Max Brod, il quale propose l’esotico nome della ragazza, più invitante per il pubblico di quello originale. Il carattere austero e altero di Kostelnička, la conoscenza che ha delle cattiverie del mondo la spingono a prendere su di sé il peccato della figliastra, ovviare con un delitto a ciò che la società avrebbe giudicato un peccato, ed espiare alla fine la sua colpa. L’uccisione del bambino, per la sua mentalità ristretta e bigotta, permeata di rettitudine dogmatica, è un gesto d’amore, un’azione a fin di bene, come spiega nella confessione pubblica del finale. “Il soggetto della ragazza madre – scrive ancora Pulcini - è scottante e originale. Scegliere per protagonista una giovane incinta, e farle inoltre sfigurare una guancia con un colpo di coltello, non ha precedenti operistici. Il dramma della donna sedotta e abbandonata in stato interessante alla mercé di una società ostile, quando non addirittura malvagia con chi esce dai suoi schemi, è una verità sociale imbarazzante anche e soprattutto per il pubblico dell’opera: la borghesia”.

                                                    I PROTAGONISTI

Leóš Janáček
JENŮFA
GABRIELE FERRO

Direttore Gabriele Ferro
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Patrick Kinmonth
Collaboratore alla regia Maria Lamont 
Assistente alla regia Claudia Isabel Martin
Lighting design Robert Carsen e Peter Van Praet


Personaggi e interpreti

Starenka Buryjovka Gabriella Sborgi
Kostelnička Buryjovka Ángeles Blancas Gulín
Jenůfa Andrea Danková
Laca Klemeň Peter Berger
Števa Buryja Martin Šrejma
Stárek Italo Proferisce
Rychtář Luca Gallo
Rychtářka Valeria Tornatore
Karolka Maria Hilmes
Pastuchyňa Lorena Scarlata
Barena Daniela Denschlag
Jano Viktorija Bakan
Tetka Natasa Katai

Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Maestro del Coro Piero Monti

ALLESTIMENTO DELLA VLAAMSE OPERA DI ANVERSA

23, 25, 27, 30 ottobre, 2 novembre



Jenůfa - SINOSSI

La storia de La sua figliastra ha un antefatto: la giovane e avvenente Jenůfa è amata dal cugino d’acquisto Laca Klemeň. Durante la sua assenza per il servizio militare la ragazza frequenta il bellissimo Števa Buryja, ricco fratellastro di Laca e padrone del mulino. Jenůfa, all’inizio della narrazione, attende un bambino da lui. Il primo atto si svolge accanto a un mulino in una zona montagnosa. Jenůfa è preoccupata che presto ci si accorga del suo stato. Chiede a Števa di sposarla, ma questi prende tempo, malgrado sia stato esonerato dal servizio di leva. Laca, che è all’oscuro della gravidanza di Jenůfa, è geloso di Števa. Le sfregia il bel viso per impedirle il matrimonio col rivale. Il secondo atto è ambientato in inverno nella casa della Kostelnička, matrigna della giovane. Jenůfa, tenuta nascosta agli occhi indiscreti del paese, ha dato alla luce un bambino. Števa, mandato a chiamare dalla Kostelnička, malgrado le insistenze della donna, si rifiuta di sposarla. Così sfregiata non gli piace più. Inoltre si è fidanzato con la figlia del giudice. Laca, anch’egli convocato dalla Kostelnička, si dichiara pronto a sposare Jenůfa, ma indugia quando viene a sapere del figlio illegittimo di Števa. Per poter rendere possibile il matrimonio, Kostelnička gli mente, dicendogli che il bambino è morto. Mentre Jenůfa dorme, abbandona il bambino fra il ghiaccio di un ruscello, sostenendo poi che è morto per malattia. Il terzo atto si svolge ancora in casa della Kostelnička, ma in primavera. Si celebra il matrimonio fra Jenůfa e Laca. Al momento della benedizione viene data la notizia della scoperta del cadavere di un bambino. Jenůfa lo riconosce dalle fasce, dichiarandone la paternità di Števa. Kostelnička confessa l’infanticidio, ne spiega le motivazioni e si consegna alla giustizia. Jenůfa comprende solo ora l’amore di Laca e resta con lui.


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