CONCLUSA LA
STAGIONE DEL PETRUZZELLI CON UN AUMENTO SIGNIFICATIVO DI SPETTATORI E DI ALZATE DI SIPAIO
di Gaetano Laudadio
Bari – Con una delle operette più note ,“La vedova
allegra” di Franz Lear, che viene proposta sui palchi di tutto il mondo da
oltre 110 anni, si è avviata a conclusione la stagione lirico-sinfonica della
Fondazione Petruzzelli. Il libretto della Vedova Allegra è stato scritto da Viktor
Lèon e Leo Stein ed è ispirato alla commedia “L’attachè d’ambassade” di Henri
Meillhac. L’allestimento è stato curato da Federico Tiezzi e dal suo assistente
Francesco Torrigiani, le scenografie di Edoardo Sanchi, i costumi di Giovanna
Buzzi ed il disegno luci di Gianni Pollini. Tutto lo spettacolo è imperniato su
temi classici quali l’amore, la fedeltà, la gelosia e la cupidigia del denaro.
L’elemento principale è, infatti, il
desiderio dei numerosi pretendenti amorosi di appropriarsi della grossa eredità
di Hanna Glawari, da tutti corteggiata, dopo l’improvvisa morte del marito.
Lehar delinea la società della Bella èpoque degli anni antecedenti la Grande
Guerra, non disdegnando ritratti psicologici e situazioni sceniche attraverso
una scrittura orchestrale ricca di una inattesa invenzione melodica, che non
mancò inizialmente di destare perplessità e sabotaggi. L’allestimento in scena
a Bari è, in realtà, proiettato negli
anni ’20 con le scene dell’epoca disegnate da Edoardo Sanchi ed i
costumi di Giovanna Buzzi. La scena iniziale si apre con l’immagine di una
data memorabile stampata sul fondo del palco, quella del 29 ottobre del 1929,
giorno del crollo della borsa di Wall Street, richiamato anche dalle tipiche
strisciate della borsa americana dei titoli finanziari e tecnologici (Nasdaq).
Semplici le scenografie, più
interessanti i costumi. Per quanto riguarda la parte musicale buona
l’esecuzione dell’orchestra della Fondazione Petruzzelli, guidata con maestria
dal direttore Michael Tomaschek, che vanta una buona esperienza nel repertorio
delle operette. In quanto alle musiche è stato un alternarsi di mazurke, polke,
galop, can-can e valzer. Di maggior richiamo ed interesse per il numeroso
pubblico le parti musicali più note: “E’
scabroso le donne studiar”, il “Can Can”
in apertura del terzo atto ma soprattutto ed anche per merito di Francesca
Sassu, nel ruolo di Hanna Glawari che ha
magistralmente interpretato la canzone
di Viljia. Sensualità ed eleganza, ma
anche una voce capace di prendere note acute e sfumature più leggere, come
quando in chiusura della canzone di Viljia, ha chiuso il brano con un
diminuendo indovinatissimo, creando un momento di grande seduzione. Bravo anche
il conte Danilo interpretato dal leccese
Vittorio Prato, sia per l’aspetto vocale che per la presenza scenica. In realtà
un cast ben affiatato ed all’altezza della situazione: Laetitia Vitelaru in
Valencienne, dotata di una buona voce
squillante, di avvenenza e bella presenza scenica, Anicio Zorzi Giustiniani, Omar
Montanari, Riccardo Palazzo, Francesco Castoro, Gianluca Tumino, Roberto
Maietta, Nicolò Donini, Giulia Della Peruta, Miriam Artico, e Margherita
Rotondi.
Ottima la performance del coro, preparato dal maestro Fabrizio
Cassi, sempre preciso ed attento sotto la direzione di Michael Tomaschek. Buona
la presenza scenica del barese Antonio Stornaiolo, impegnato in Njegus, bravo
nel ruolo attoriale, un po' meno in quello canoro. Un plauso anche ai bravi
ballerini. Alla fine tanti applausi generosi del pubblico, meritati
soprattutto, quelli per la bravissima Francesca Sassu.
Le foto sono di Arcieri
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